• Guido Chiesa
  • Inedito

1988 — ARTICOLO Il giorno in cui arrivai in America - racconto

Il giorno in cui arrivai in America pioveva a dirotto.
La mia prima vista di New York fu l'incrocio tra la 57ma e la 6^ Avenue. Fresco di metropolitana, la mia prima corsa in metropolitana. Un viaggio costava ancora 75 cents.
Dovevo raggiungere la 57ma all'altezza della decima Avenue. Ma con il bagaglio che avevo potevo a stento muovermi. Mi guardai attorno per la prima volta. La cosa che più mi colpì di  non furono gli invisibili grattacieli persi nella foschia di un luglio piovoso, bensì la quantità di persone che veniva dalla mia parte: una fiumana inarrestabile. Centinaia e centinaia di persone, tutte dalla medesima direzione. Avevo una vaga idea di quel che significasse il concetto di "ora di punta", e una ancora più vaga della direzione da cui provenissero tutte quelle persone. Così  misi il cervello a tacere. E incominciai a cercare un taxi.
La prima lezione che imparai fu semplice quanto rapida: mai cercare un taxi in un giorno di pioggia. Lottai per un po', provando ogni possibile stratagemma per fermarne uno. Niente da fare. O erano pieni, o se ne filavano via vuoti e spenti verso direzioni sconosciute. Ero fradicio. Bagnato di pioggia e di sudore. Non ho mai imparato a metter poco in valigia. E sono sicuro che la vista del mio piccolo essere trascinante due enormi e pesanti bagagli lungo la 57ma era a dir poco spassosa. Ma non per i newyorkesi. Oh, non per loro. Loro hanno visto tutto e di tutto. Nulla li può più stupire. Loro non ridono per eventi cosi` terreni. E, naturalmente, loro non hanno alcuna intenzione di aiutarti.
Cosi` continuai a lottare e sudare. Raggiunsi la 7ma Avenue dopo indicibili fatiche. Ancora tre lunghi isolati. Merda. Variopinte masse continuavano a passarmi a fianco. Incessanti, interminabili. Sempre più inspiegabili per origine e destinazione. Per lo più erano neri, giovani e bagnati. Di ombrelli non v'era traccia, segno che i newyorkesi non ne facevano uso o che il temporale aveva sorpreso pure loro.
La mia odissea stava raggiungendo proporzioni ridicole. Finalmente ebbi l'idea di fermarmi di fronte a un hotel, catena Holiday Inn. Detto fatto: dopo dieci ansiosi minuti una di quelle dannate macchine gialle si fermo` per scaricare un passeggero. Corsi letteralmente a occuparlo. Ma il guidatore borbotto` parole sconosciute, chiuse le porte e sgommo` via. Ero pronto a uccidere.
Con il broncio e gli occhi gonfi di imminenti lacrime stavo quasi per abbandonare ogni speranza. Ma, come al solito, l'ora peggiore e` sempre quella poco prima dell'alba. Un taxi vuoto mi passo` a fianco all'incrocio con l'ottava: luci accese. Urlai e agitai le mani con tutta la forza rimastami. Il taxi si fermo`. Volevo baciare l'autista pakistano, ma mi bloccai ricordandomi quel che avevo letto a proposito dell'omosessualita` e del mondo arabo. Ci vollero due minuti e ventisei secondi a completare il rimanente tratto della 57ma.
Cosi`, mentre il  mio incubo andava finalmente a concludersi, non potei non riposare gli occhi sulla moltitudine ancora sciamante nella pioggia. E pensai il mio primo pensiero da newyorkese: "Ben vi sta, coglioni".

Come mi spiego` piu` tardi la mia amica fotografa tedesca, la folla arrivava da un concerto gratuito che Diana Ross avrebbe dovuto tenere nel pomeriggio a Central Park. Ma il cattivo tempo e la paura di cortocircuiti sul palco avevano convinto gli organizzatori a rimandarlo all'indomani.
Sebbene non fossi un ammiratore di Diana Ross, accettai la proposta della mia amica di andarci il giorno succesivo. Mi assicurò che sarebbe stato uno spettacolo indimenticabile, se non altro per la folla che avrebbe invaso il parco.
Il mattino dopo il cielo ero sgombro di nuvole e l'aria pungeva di brezza marina. Mi incamminai per la prima volta verso la Midtown di Manhattan, senza precisa meta in testa. Naturalmente finii sulla 42ma, comprai un wurstel e divenni terribilmente nostalgico di casa.
La vista di questa citta` cosi` lungamente sognata era tristemente insignificante. Attendevo una sorta di cibernetico mondo futuribile e ora mi ritrovavo in mezzo all'immondizia, barboni, ruffiani e puttane mattutine. L'effetto della Manhattan del sabato mattina avevo lo stesso coefficiente di emozione o romanticismo di una pubblicità televisiva.
Vagai per un po', occhieggiando negozi e vetrine, scoprendo ben presto che la miglior cosa di New York era la gamma della sua offerta di mercato. In tutti i sensi.
Attorno alle 4  la tedesca ed io ci dirigemmo verso Central Park. Batteva il sole e il parco era letteralmente packed di persone. Ancora e per lo più neri, giovani, e contenti di vedere uno dei loro idoli. Peccato che non potevo condividere il loro eccitamento per Lady Diana, ma certamente loro non potevano capire il mio a stare in mezzo a loro. Eccomi li, ancora fresco di Cambiano, nel mezzo di uno dei piu` grandi raduni di esseri umani sulla terra, parte di un evento che faceva notizia per il solo fatto di stare accadendo. Tutto d'un tratto, scoprii di non provare piu` alcuna nostalgia.
Ci sistemammo verso il fondo. Il palco era a poco meno di un chilometro da noi. In mezzo, qualche centinaia di migliaia di newyorkesi.
Di tanto in tanto, la folla colorata lanciava urla e incitamenti a sconosciuti performer persi nella calca. Solo dopo mi resi conto che cosa segnalassero quelle grida. Lo capimmo quando, all'improvviso, un gruppo di fronte a noi batte` in precipitosa ritirata. Panico immediato. Centinaia di persone scattarono in ogni direzione. E noi con loro. Poi tutti si fermarono e ritornarono ai loro posti. Come se nulla fosse successo. Ma il perche` delle urla rimaneva irrisolto.
Poco piu` tardi, quando la folla riprese a sbandare paurosamente, cogliemmo un dettaglio di quello che stava accadendo. Gruppi di Guardian Angels stavano inseguendo dei ladruncoli, incitati con foga dalla gente attorno. Era una visione al contempo elettrizzante e terrificante. Era incredibile vedere questi ragazzini - Angels e ladri - correre a velocita` folle in mezzo alla ressa, evitando corpi e contatti con mosse da applauso. Era come se tutti fossero ipereccitati, a dispetto della musica languida e delle nuvole ritornanti.
Verso le sei e mezza la musica fini` e la gente prese tranquillamente a disperdersi. Tranquillamente, ma non per molto. A dire il vero, a parte quelle occasionali rincorse, il concerto era proceduto in modo del tutto pacifico. Pensai: quasi troppo pacificamente per una massa di quelle dimensioni. Poi mi resi conto della mia presunzione: quello era il mio primo incontro  con dei neri americani. Che ne potevo sapere io del loro concetto di pacifico?
Imparai poco piu` tardi. Mentre uscivamo dal parco, centinaia di ragazzini e non solo iniziarono ad assaltare tutti quelli che su cui potevano mettere le mani. Sopratutto bianchi, soprattutto ben vestiti.
Vidi un gruppo di adolescenti attaccare una ragazza bianca e respingere due tizi che cercavano di salvarla. Poco piu` in la una gang  aveva circondato un poliziottto e gli impediva di muoversi. Altri poliziotti vagavano alla ricerca dei loro compagni sperduti. Ragazzini continuavano a correre per il parco in selvagge parate di eccitazione e auto-esaltazione. Non urlavano ne` schiamazzavano: semplicemente sorridevano, come se fosse troppo bello per essere vero. Erano i padroni del parco.
La mia amica ed io guardavamo la scena come un sogno ad occhi aperti. Lei era scioccata, ma il suo temperamento tedesco le permise ben presto di controllarsi. Io ero sbalordito.
Raggiungemmo Central Park West e iniziammo a dirigerci verso sud. I ragazzini continuavano a passarci a fianco. Uno di essi, quasi un bambino, afferro` la borsetta della mia amica. Lei non la mollo` e lo guardo con occhi severi, riprovevoli. Disse in un tono che non ammetteva dubbi: "Lasciala". Il ragazzo esegui` e sempre sorridendo segui i suoi compagni.
A Columbus Circle vedemmo poliziotti in fuga dal parco, inadeguati e impreparati di fronte alle centinaia che avanzano verso di loro. E verso di noi. La mia amica attraverso` la strada e trovo` rifugio sul marciapiede opposto. Io mi strinsi contro un gippone e li vidi passare. Corsero alla mia destra, alla mia sinistra e letteralmente sopra di me, saltando sul tetto della jeep e volando giu` verso sud, verso Broadway, verso Times Square, verso Midtown Manhattan, verso il centro della civilta` del mondo bianco.
Una miscela incontrollata di rabbia vergine, energia e strafottenza infantile.
Ero felice e sconvolto come un ragazzo alla sua prima esperienza con il sesso. Benvenuto in America. E loro non potevano capire il mio a stare in mezzo a loro.