• Rumore

1994 — ARTICOLO Charles Manson: stereotipo di un mito ambiguo - articolo

Non so quanto, nel mio piccolo, abbia contribuito qui in Italia a  fomentare il mito di Charles Manson. Mi ricordo solo di aver scritto (nel 1986, in epoca ancora non sospetta) per la rivista Rockerilla, quello che forse era uno dei primi articoli mai comparsi in Italia ad assumere nei suoi confronti una posizione problematica, tesa ad incrinare i tanti pregiudizi circolanti attorno alla tragica fama del personaggio. Che allora vi fosse bisogno di un lavoro di questo genere nell'ambito della (sotto)cultura rock, lo confermavano parecchi fatti contingenti.

Proprio in quegli anni, infatti, musicisti quali Henry Rollins e Sonic Youth, Psychic Tv e Eugene Chadbourne, artisti/performer come Ann Magnusson e Joe Coleman dimostravano nei confronti del carcerato più famoso d'America un rinnovato interesse, lontano dai toni isterici degli anni '60-'70, diretto bensì a decifrare il significato profondo della vicenda-Manson. E sempre negli stessi anni, ma con intenzioni del tutto opposte, uscivano in Italia articoli come quello ospitato dal Mucchio Selvaggio in tre numeri del 1974 a firma di Antonio Tettamanti, così zeppo di erroneità e luoghi comuni da far apparire persino legittima una difesa d'ufficio dell'imputato Manson.

Ora sono passati quasi dieci da quel ritorno di fiamma e la situazione è assai mutata. Di Manson, della sua icona e del suo mito, si sono impossessati ormai in molti nel regno dello show business, (dai Guns'n'Roses ai Nine Inch Nails), mentre l'underground ha ormai definitivamente accettato l'ex leader della Family quale uno dei suoi ambigui ispiratori (si pensi alla eccellente compilation curata da Vittore Baroni per la Helter Skelter). Ma tutta questa attenzione, a voler essere sinceri, ci lascia un tantino perplessi. Non solo perché, in molti casi, ci sembra suggerita da ragioni sbagliate, ma, soprattutto, perché è ancora infetta da stereotipi e mistificazioni dejà vù. Ecco perché questo articolo, più che fornire ulteriori motivi di dibattito, ribadirà tesi già altrove esposte (cfr. proprio la succitata raccolta Coming Down Fast), ma, soprattutto, cercherà di (ri)stabilire alcuni dati di fatto relativi a Manson che sono conditio sine qua non per ogni corretta analisi del personaggio.

Ovviamente, il sottoscritto non si ritiene "depositario" della verità sul caso, ma semplicemente ha formato la propria opinione su eventi e documenti registrati in libri quali quello di Vincent Bugliosi, pubblico ministero al primo processo Manson (Helter Skelter); The Family di Ed Sanders, giornalista e ex-leader dei Fugs; la biografia ufficiale (poi ripudiata) di Manson, Manson in His Own  Words (as told to Nuel Emmons); la raccolta di testi mansoniani The Manson File, curata da suoi "ammiratori"; le autobiografie dei membri della Family, tra cui, in particolare, quella di Paul Watkins, My Life With Charles Manson; i documentari Manson (1970) e Charles Manson Superstar (quest'ultimo realizzato dagli stessi autori di The Manson File); infine, articoli e interviste comparsi nel corso degli anni su riviste quali Rolling Stone, Los Angeles Free Press, Pandemonium, Birth of Tragedy, ecc. Per qualsiasi chiarimento e ulteriore approfondimento, il rimando a questi testi è d'obbligo.

 1 - Titolo del quotidiano La Stampa del 7/8/1989: E "SATANA" INSANGUINO' HOLLYWOOD - Vent'anni fa Charles Manson compì il folle massacro che fece innoridire l'America".

Charles Manson non è mai stato accusato di aver materialmente eseguito la strage nella villa di Roman Polanski in cui morirono Sharon Tate e altre quattro persone. Nemmeno per quanto riguarda il massacro dei coniugi La Bianca - compiuto la notte successiva in un'altra parte di Los Angeles e di cui furono parimenti ritenuti responsabili i membri della Family - si è potuta dare per certa l'effettiva partecipazione di Manson. Alcune testimonianze (contraddette però da altrettante deposizioni) spinsero gli inquirenti a ipotizzare che Manson si fosse recato nella villa dei Polanski-Tate dopo la strage, come per controllare "l'esecuzione" dei suoi ordini (ipotesi in parte confermata dal diretto interessato), e che la notte successiva avesse indicato agli assassini la villa dei La Bianca quale bersaglio da colpire. Manson è stato processato (e condannato) per un unico omicidio, di cui, secondo varie testimonianze, è stato l'esecutore materiale, vale a dire quello di "Shorty" Shea, un cowboy/comparsa residente del ranch in cui la Family visse nel 1969. Vale la pena specificare che di Shea non è mai stato ritrovato il corpo (secondo alcune versioni venne dato in pasto ai porci), così come non si è mai potuta oggettivamente provare la partecipazione diretta di Manson a una serie di omicidi avvenuti nell'entourage della Family prima dell'arresto del gruppo nel dicembre 1969 nella Valle della Morte. Che Manson fosse diventato, a un certo punto delle indagini, una sorta di capro espiatorio per ogni omicidio irrisolto avvenuto in California quell'anno, è ipotesi assai meno ridicola di quel che sembri, soprattutto se si pensa che, nonostante la gran massa di delatori (specie ex membri della Family) disposti a dichiarare di tutto pur di "liberarsi del potere di Charlie", gli inquirenti non riuscirono mai a incastrare Manson sull'accusa di omicidio (e, come vedremo dopo, furono costretti a "inventare" la teoria di Helter Skelter per potergli affibbiare un'accusa punibile con la sedia elettrica). Insomma, tutto lascia suppore che di persone Manson ne abbia uccise poche o forse nessuna (tranne un detenuto nero che lui dichiara di aver ammazzato per legittima difesa, ma per il cui omicidio, ironia della sorte, non è mai stato imputato...).

Tutto ciò, però, non deve essere inteso come un tentativo di discolpare Manson, ma solo come l'espressione di un'esigenza: quella di ristabilire la verità e di impedire la formazione di luoghi comuni, diffusi anche presso i cultori del personaggio, quali quello di Manson-serial killer o di Manson "massacratore di Sharon Tate".  

2. Charles Manson è stato condannato alla sedia elettrica (poi commutata in ergastolo dopo l'abolizione della pena di morte in California) per essere stato il mandante degli omicidi Tate-La Bianca. Questa accusa si basava pressoché esclusivamente sulle testimonianze degli esecutori materiali degli omicidi e di alcuni altri membri della Family, ma, da sola, non avrebbe potuto condurre l'imputato al patibolo, perché la legge della California prevedeva la pena di morte solo per gli omicidi con movente, mentre i moventi formulati dall'accusa non reggevano alla prova dei fatti e le testimonianze dei co-imputati non potevano avere valore incriminatorio. Vincent Bugliosi, il PM, assemblò quindi tutte queste testimonianze in un'unica accusa-movente: Helter Skelter. In pratica, Bugliosi convinse la giuria (e l'America) che Manson avesse fatto commettere gli omicidi al fine di scatenare una guerra civile tra bianchi e neri, come suggeritogli da uno dei paragrafi dell'Apocalisse e dall'ascolto del White Album dei Beatles. Tale teoria, sostengono alcuni, appare in prospettiva alquanto traballante e troppo "influenzata" dal carisma stesso Manson, quasi come se, paradossalmente, il medesimo PM avesse finito col "subirlo". Se è in effetti vero che Manson, nella sua schizofrenia, ha assunto di volta in volta le vesti del Messia, del manovratore diabolico e del guru (così come quelle della vittima, dell'innocente e del discepolo) è altrettanto vero che una teoria come quella di Helter Skelter presuppone una tale  temporanea sospensione di credibilità da apparirci eccessiva, a confronto con il grado di rozza concretezza degli omicidi e della vita stessa di Manson. In altre parole, Bugliosi, forse pure lui vittima "al contrario" del potere di Manson, ha finito con l'inventarsi una teoria tanto assurda da sembrare vera (soprattutto in quegli anni di LSD e comuni mistiche), ma non per questo realmente utile alla definizione della verità. Anche perché viene il sospetto che i co-imputati, tutti rei confessi, abbiano cercato durante il processo di addossare a Manson il ruolo del mandante, onde vedersi mitigata la pena.

Anche qui, non ci interessa affatto dimostrare l'innocenza o  la colpevolezza di Manson. Non è questo il problema. Personalmente, ho le miei opinioni sui reali moventi degli omicidi (confermate da Manson stesso e dibattute in vari testi, anche se mai seriamente esaminate dalla polizia) e, in ogni caso, è fuori discussione che il nostro abbia giocato un ruolo pesante sia nella loro progettazione che esecuzione. Semplicemente, ci premeva dire che una teoria come quella di Helter Skelter è disomogena alla personalità del nostro (troppo individualista e disarticolata per poter esprimere una tesi così lucidamente folle) e del tutto inadeguata, per quanto suggestiva e "affascinante", a spiegare quello che è realmente accaduto.

Insomma, un altro mito su cui, per opposti interessi, ci hanno marciato sopra un po' tutti.

3. Charles Manson non è un personaggio univoco: qui sta la sua peculiarità, ma anche la sua irriducibilità ad ogni tentativo di cooptazione ideologica o intellettuale. Manson è stato tutto e il contrario di tutto: nessuno se ne potrà mai appropriare (come hanno cercato a più riprese e sempre fallendo, i gruppi underground, le organizzazioni ecologiste radicali, i movimenti dell'estrema destra americana, ecc.), perché l'essenza stessa del suo essere è la doppiezza, la specularità, l'indomabilità. Non c'è bisogno di essere degli psichiatri per capirlo: quando è uscito di prigione nel 1967, a 32 anni, aveva sulle spalle già quindici anni di istituzione carceraria. Dal 1969 non è mai più uscito di cella. E' un uomo piccolo, facile vittima di detenuti in cerca di rissa, che è stato sodomizzato a 11 anni, che non ha mai conosciuto il padre e la cui madre era una prostituta occasionale. Un uomo che ha imparato presto nella vita ad arrangiarsi, a non fidarsi di nessuno, a cambiare idea quando gli conveniva, a usare ogni tipo di espediente per salvaguardare il proprio interesse, a capire le debolezze altrui per trasformarle in frecce al proprio arco, a sfuggire e a non credere mai troppo in niente se non in se stessi. E forse nemmeno in se stessi. Un uomo così non può, per sua e nostra fortuna, essere considerato un Mito o un modello o un leader. Semmai qui sta l'originalità del caso-Manson, poiché nella sua tragica vicenda si trova, in nuce, l'essenza stessa della condizione umana, divisa tra il desiderio e l'impossibilità di accettarsi, il bisogno di sfuggire al caos che ci portiamo dentro e il costante ricadere al suo interno. Da questo, e da molti altri punti di vista, Manson è un personaggio emblematico, un vero specchio dell'Uomo Ferito proprio perché eccessivo, brutale, assoluto nella sua perversione.