• Guido Chiesa
  • Inedito

1995 — ARTICOLO In canoa - racconto

"Vado a cena da Federica... torno tardi".
Enrico non alza nemmeno lo sguardo dal libro. Una mano sollevata a mezz'aria. "Ciao...". Spento. Pagina 237. La 238 non poteva aspettare.
Lei si infila i guanti. Chiude la porta e si accende una sigaretta. Tre piani a piedi. Il tempo giusto per bruciarla tutta. E ritrovare il coraggio.

Viale Regina Margherita. Notte. Veloce. 90 fino a 110. Semafori gialli bucati. Un'altra sigaretta. La minigonna stringe alla vita. Come l' ansia al cervello. Minigonna. Ansia. Enrico non ha notato né una, ne l’altra. Enrico non nota più nulla. Sta male Enrico, male come tutti. Ma come tutti, vede solo il proprio. Ipnotizzato dall'abisso aperto.
Non si era accorto di lei che andava alla deriva. Lei che non si divertiva più a uscire insieme . Lei che passava ore in canoa. Lei con occhiaie nuove di zecca. Lei che non tentava nemmeno più di farglielo diventare duro.
Soprattutto. A letto, soprattutto. Reggere il suo membro molle tra le dita. Quel membro che sembrava di un altro corpo. Sentirsi respinta. E aver voglia di respingere, di gettare tutto al diavolo e urlare: "Fatti vedere da un analista e non rompermi più i coglioni!!".
Invece, zitti. Muti. Silenzio. Per ore. Per poi magari sfogarsi a litigare su di un lavandino che perde o sua madre che non gli telefona.
O Enrico forse. Forse. No, no. Enrico non notava più nulla.

Una parallela interna di Corso Svizzera. Palazzo semi-signorile. Sei piani: il campanello Burzio/Corsini.  "Sono un'amica di Roberto". Voce metallica dal citofono. Dice di aspettare sotto. E’ ora. E ora?
Un' altra sigaretta. Aiuta a concentrarsi. Un passo via dalla porta. Il tacco si impiglia in una grata. Merda, stronza di una grata. Fumare, camminare, via dalla luce. Aspettare.
Aspettare Roberto. Una cena di canoisti, tre settimane prima. "Dai, vieni... sono tutti giovanissimi". La sua amica Gabriella insisteva. Perchè no? Peggio che vada, m'annoio. Annoiarsi costa poco, e io ho denaro da spendere. Cena OK. Gabriella che flirta con tutti ma non la da mai. Poi Roberto. 1,85, fisico perfetto, 21 anni. 15 meno di lei. Semplice ma non stupido. Avevano parlato di canoa. Kayak, canadese aperta, doppia pala, pagaia singola.  Ma lei sentiva altro. Brividi dentro. "Ciao".
Si volta. Roberto sulla porta. Troppo bello. Troppo giovane.

Pizzeria. Per fortuna. La cena intima non l'avrebbe retta. Se si deve fare, almeno non fingiamo. Roberto racconta: Legge, terzo anno. Poca voglia di studiare, ma idee chiare sul dopo. Cerca una ragazza,  si capisce. Le sue coetanee lo annoiano. Pizza finita. Lei: "Dove andiamo?".  Imbarazzato, si alza e va a pagare. Almeno è educato. Almeno evita cadute di tono. Almeno.
"Ma non doveva essere questa la serata che aspettavo da mesi? La sera della mitica scopata che mi avrebbe tolto tutte le voglie e le paure e le fobie di Enrico su Enrico con Enrico?"
Fatica. Fatica ammettere che aveva voglia di tradirlo. Fatica ammettere che faceva fatica a farlo. No, non era da lei. Lei che parlava di sesso come fosse sport o politica o fare la spesa. Ma lei parlava. Parlare costa poco, e io ho denaro da spendere. Enrico ne sarebbe morto, non l'avrebbe mai perdonata. Ma non era solo questo. Colpa. Senso di colpa. Ma non solo. Paura. Paura di tutto quello che può succedere prima e dopo e durante.  Sensazioni esplodono. Passioni divampano. Perdita incontrollata. Conseguenze.
Roberto: "A casa mia... nel garage, ho un posto ...".

Laboratorio riparazione canoa/ tavernetta/pied-a-terre/ripostiglio. Tre metri per tre. Divano letto color blu scuro. Luci soffuse. Lei pensa: "Non ci posso credere".
Roberto è gentile. Roberto è dolce. Roberto ci sa fare.
La prende con calma, senza fretta. La bacia. Quasi pudico. Sa di Fishermen Extra-strong. Deve averne succhiata una in macchina.
La lingua le penetra in bocca. Strano. Pensa a Enrico. Enrico?
La mano filtra tra la gonna e la coscia. Calda. Piacevole. Si sente bagnata. Dio.
Una mano sui  jeans di lui. Ha un'erezione da quando sono usciti dalla pizzeria. Non c'è bisogno di fare. Nulla. E’ duro, impetuoso, auto-sufficiente.
Lui la penetra con un dito. Geme. E' normale, le capita sempre così.
Si spogliano. Lenti, silenziosi. La camicetta di lei rimane impigliata nello scaffale degli attrezzi. Ridono. Ci voleva. Lui le bacia i seni. Lei glielo prende in bocca.
Enrico. Enrico con un'altra. Non si è mai chiesta: "Enrico è stato con qualcuna in questi otto anni?". Era così sicura di no che il pensiero non l’ha mai sfiorata. Perchè ora? A lui gli avrebbe fatto bene. Forse. Ma Enrico pensa troppo a se stesso. Solo a se stesso. Gli altri sono una variabile di sé. Ruotano. Amici, parenti, donna. Pianeti. Satelliti. No, Enrico non è mai stato con nessuna. Se ne sarebbe accorta, gliel'avrebbe detto, l'avrebbe confessato. O forse. Forse no. Ma se l'ha fatto, non gli è servito a nulla. Come temo non servirà niente a me. Adesso. Paura che ritorna. Paura di quello che verrà dopo.
Una sensazione di calore acido in bocca. Roberto è venuto.

Hanno fatto l'amore per due ore. Poi hanno parlato. Tranquilli. Non si vedranno più. Roberto ha capito che lei non può, non vuole essere la sua donna. Lui cerca un amore. Lei voleva una scopata. "Non è tutto vero, ma se ti fa sentire meglio pensarla così...", dice lei rivestendosi.
Rialzandosi, lei batte la testa contro la canoa. Ridono. Meglio così.
Risale in macchina. 40/60 kmh. Due semafori rossi di fila. Pensa. L'ultima scopata con Enrico, tre mesi fa. Era durata tre minuti e mezzo. Un minuto al mese. Lui non era venuto. Con Roberto: lui tre volte, lei due. Cristo, paragoni del cazzo! Ma non si sente meglio. Nè diversa. Solo un po' più stanca.
Torino non offre appigli. Viali deserti. Non un particolare che ti fa volare via. Che ti porta lontano la testa a immaginare e dimenticare.
Enrico, siamo da capo.

Riapre la porta. 03.45. Luce in salotto. Televisore acceso. Enrico addormentato. Libro finito. Scena patetica.
Fa piano per non svegliarlo. Ha il sonno leggero. Un'altra sigaretta, tanto che serve. Ora che si sveglia che cosa gli dico? Gli racconto che mi sono fatta una scopata come da anni non mi ricordavo? Gli parlo come si dovrebbe parlare a un amico/compagno/fratello? Gli do una pacca sulla spalla, apro una birretta e lo tengo sveglio fino all'alba scherzando sulle nostre paure?
Enrico si scuote. Apre un occhio. La guarda corrucciato.
Lei: "Non riuscivo a dormire...": risposta paranoica, immotivata, non provocata. Denota: senso di colpa a valanga. Ma lui è troppo addormentato per rendersene conto. Forse. Forse no.
"Com'è andata la cena? Da quando sei tornata?". Non risponde. Primatista mondiale di discorsi lasciati cadere.
Enrico si alza. Andrà in bagno, pensa lei. Piscerà. Si guarderà nello specchio. Tornerà a dormire nel letto. E invece no.
Le passa vicino. Le mette una mano sulla nuca. Una mano forte, ma buona. Perchè lo fa? Ha capito qualcosa? Per fortuna che Roberto non si profuma.
Resta lì con la mano.  Non dice nulla. Enrico non dice mai nulla. Probabilmente pensa a se stesso, probabilmente alla sua ansia. Probabilmente tendente a sicuro.
Parla: "Ho pensato a te, a come ti... dovremmo parlare...".
Non ci credo. No. Non l'ha detto. Non voglio crederci. No! Lui  ha pensato  a lei. Mentre lei scopava con Roberto. Mentre lei veniva e veniva godendo felice. Mentre lei vinceva tutti i rimorsi & debiti verso di lui. Mentre. Lui. Pensava. A te. Perchè adesso?
Forse è il destino. Forse c'è logica in tutto ciò. Una. Ci deve essere. Forse. Forse no.
Eppure, ora, lei non sente colpa. Sente, già importante. Appoggia la spalla sulla  gamba di Enrico. Semplice.
"A un certo punto... ti rendi conto che hai fatto più o meno tutto quello c'era da fare. E che puoi solo cercare di farlo meglio".
Enrico annuisce.  Rimangono lì fino all'alba.