2000 — Kataweb cinema Dal libro al film ovvero l'arte della sottrazione

di Stefano Della Casa


Più 'combat film' che neorealismo, più analisi del mondo dei vinti che di quello dei vincitori: questi e altri i meriti del Partigiano Johnny


Le Langhe sono una zona piuttosto strana e difficile da penetrare, sia in senso geografico sia per quanto riguarda la mentalità della gente. Che sia difficile da conquistare militarmente, ai tedeschi ormai è chiaro: durante l'ultima guerra hanno patito i sorci verdi e adesso si stanno prendendo una rivincita postuma comprando uno dopo l'altro casali, cascine, castelli, vigneti e imponendo che anche la più sperduta delle trattorie esibisca il proprio menu in italiano e in tedesco. Per quanto riguarda la gente, il tratto più comune è una diffusa riluttanza a dare confidenza, una tendenza atavica a risolvere i problemi senza chiedere niente a nessuno. Se non si hanno presenti questi due capisaldi, non si può capire perché Fenoglio sia uno degli scrittori più importanti del secolo: o meglio, non si capisce bene quale sia stato il suo retroterra culturale. Individualista, pessimista, il suo partigiano Johnny anticipa i "ribelli senza causa" che il cinema americano renderà poi famosi con i volti di James Dean e dei suoi coetanei.
Sarcastico, insofferente a ogni disciplina, il suo eroe non si lascia incasellare negli schieramenti risultando (proprio come sarà lui in vita) un personaggio scomodo, che viene rispettato ma che generalmente si preferisce evitare. Fare i conti con Fenoglio non è certo impresa facile, e infatti fino ad oggi non si era cimentato quasi nessuno. Guido Chiesa mette in scena il suo romanzo preferito agendo per sottrazione: lo stile di ambientazione non si rifà al neorealismo (e questo è un bene) ma direi piuttosto ai combat film, la fredda ostilità della collina in inverno è resa con grande efficacia, la secca brutalità dei combattimenti metabolizza al meglio la lezione dell'ultimo cinema di guerra che viene dagli Stati Uniti. Non ho molto amato il cartello rosselliniano sul quale finisce il film ("Due mesi dopo la guerra era finita", una frase simile a quella che conclude Paisà), non per lesa maestà ma perché Rossellini non c'entra per niente. Ho trovato notevoli le ambientazioni contadine e meno riusciti gli ambienti borghesi, ma forse dovevano risultare sgradevoli (e comunque ci sono riusciti). Mi è piaciuta l'idea di agire per sottrazione, di rendere il più l'idea del "mondo dei vinti" (titolo di un altro libro che racconta le stesse terre). Nella Martini Mauri (la brigata azzurra cui aderisce Johnny) c'era anche un attore, Folco Lulli, che fu partigiano combattente e che dopo la guerra interpreterà prevalentemente ruoli di gerarca fascista. Anche in questa metafora cinematografica si legge la difficoltà di fare un film da quel soggetto: onore a Guido Chiesa per averci provato.