• Guido Chiesa
    Enzo Mercuri
  • Guido Chiesa
    Enzo Mercuri
  • Palomar
  • Direttore della fotografia:
    Pino Iannelli
    Fonico di presa diretta:
    Gianfranco Mastroianni
    Montaggio:
    Benni Atria
    Stefano Cravero
    Produzione:
    Nicola Sofri

  • 52 minuti

2007 — DOCUMENTARIO Kishe Ione - La nostra Chiesa

Per chi si avvicina per la prima volta alla scoperta del mondo e della cultura arbereshe, l’aspetto forse più sorprendente è la permanenza di una forte identità religiosa, legata alla tradizione del rito greco ortodosso, benché sviluppatasi in seno alla Chiesa cattolica romana.

La nostra chiesa racconta, in un percorso introdotto e accompagnato dal linguista Francesco Altimari, la storia e lo stato attuale di questa peculiare dimensione degli italo albanesi, declinandola attraverso tre comunità simbolo: San Demetrio Corone, Spezzano Albanese e Falconara Albanese.

Nel primo caso, attraverso i racconti del Papas locale e di una professoressa di liceo, convertitasi alla Chiesa degli italo albanesi, si prende in esame una realtà in cui il rito è ancora forte, vivo, praticato, e in cui l’identità degli arbereshe appare salda e al tempo stesso dinamica.

Nel secondo, invece, la scomparsa nel XVII secolo del rito bizantino a favore di quello latino, se non sembra aver prodotto nel passato particolari lacerazioni nel tessuto sociale, pare a lungo andare aver indebolito la comunità arbereshe, lasciandola più indifesa di fronte all’omologazione del mondo contemporaneo. Ne sono testimoni un intellettuale, un giovane aspirante sacerdote, il francescano rettore di un Santuario molto devoto agli spezzanesi, che ha  provato a reintrodurre il rito bizantino, e il presidente della locale Pro Loco, organizzatore da alcuni anni della manifestazione Miss Arbereshe.

Il terzo caso, infine, è ancora diverso. Comune isolato sullo Ionio, Falconara ha assistito negli anni ’70 a una sorta di trapianto artificiale, con la rimozione forzosa del rito latino e il ritorno, dopo quasi trecento anni (!), di quello bizantino. E mentre ancor oggi i protagonisti dell’epoca dibattono sull’opportunità o meno di quel ritorno al rito degli avi, l’attuale parroco e il locale professore di religione si interrogano su quanto la persistenza della liturgia ortodossa possa o meno contribuire ad arginare la perdita di identità degli arbereshe.

Ed è proprio questa identità il fuoco del discorso. Un’identità che, oggi come oggi, di fronte alla crescente secolarizzazione, all’accresciuta mobilità sociale (dovuta all’emigrazione, ma anche alla scolarizzazione) e ai matrimoni misti, sta minacciando le basi stesse del mondo arbereshe: rito, tradizione, lingua. Così, mentre da un lato, prima la Chiesa (col Concilio Vaticano II), poi lo Stato, riconoscono finalmente l’esistenza, giuridica e culturale, degli arbereshe, dall’altro la loro stessa identità rischia di divenire, col tempo, una mera indicazione anagrafica e nulla più.

Ne sono testimoni i giovani di San Demetrio: da quelli dell’Azione Cattolica ancora legati al rito, ai loro coetanei che non vanno più a messa, ma che ancora fortemente sentono il richiamo delle tradizioni e della lingua. Saranno essi, in un mondo sempre più oscillante tra l’appiattimento consumistico e la rivendicazione orgogliosa, e spesso aggressiva, delle differenze etniche, a dover gestire il futuro di un’identità tutt’altro che al riparo dalle mutazioni della Storia.