La prima volta che dissi "motore, azione" e tutti mi ascoltarono, mi resi conto del potere perverso che avevo in mano. Ho sempre cercato di farne un uso discreto, senza fingere di essere in un sistema democratico - il cinema non lo è! - ma neanche abusando di esso.
Fare il cinema non me l'ha ordinato il dottore e non è mai stato il cinema in sé e per sé la ragione profonda del mio interesse per questo linguaggio espressivo.
All'epoca di Il caso Martello pensavo che questa ragione fosse l'impegno politico e culturale, declinato attraverso il discorso sull'essere umano e il suo agire, privato e sociale.
Oggi, è rimasto solo l'essere umano, il resto in prospettiva, sullo sfondo, il linguaggio come indivisibile forma e sostanza.