LA STAMPA OGGI

Un mio intervento su CLASSE Z oggi sulla prima pagina.

Mai successo, grazie.

Questo è il link per leggerlo on line (http://www.lastampa.it/…/la-missione-del-cinem…/premium.html), mentre di seguito c'è la mia versione integrale (poi accorciata e ri-montata con rispetto e sensibilità dalla redazione del quotidiano per ragioni di spazio).

UN FILM PER GLI ULTIMI DELLA CLASSE

CLASSE Z, in uscita il 30 marzo nei cinema, nasce da una richiesta - della Colorado, produttrice del film: “Pensate a un soggetto sull’anno della maturità” – e da un incontro – con il portale web ScuolaZoo che da una decina di anni dialoga con centinaia di migliaia di studenti.
A ScuolaZoo abbiamo chiesto di raccontarci, dal loro osservatorio privilegiato, quali fossero i temi, le problematiche, le criticità che più stavano a cuore agli studenti italiani. Al primo posto c’era la diffusa percezione di essere poco o male valorizzati dalla scuola, seguita da una generale sensazione di noia, e infine dal malumore per un’eccessiva enfasi posta su voti, interrogazioni, verifiche, ecc. Tutte cose che da anni sentivo raccontare dalle mie figlie (15 e 18 anni) e dai loro coetanei: la scuola ci stimola poco. Come padre, facevo fatica a credere loro, ma come cineasta, chiamato a trovare una chiave per raccontare la scuola dei nostri tempi, mi sembrava un punto di partenza ricco di potenzialità.
CLASSE Z è una commedia e, di conseguenza, esaspera situazioni e caratteri. Non tutti gli studenti sono infatti casinisti, svogliati o piantagrane come i protagonisti del film, studenti di quinta di un liceo scientifico oggetto dell’esperimento del preside (Alessandro Preziosi): con in mente una precisa visione meritocratica e efficentista della scuola, il dirigente scolastico confina i nostri in una classe-ghetto per separarli dagli studenti “bravi”.
Parimenti, non tutti i professori che conosciamo, o con cui ci siamo confrontati, sono frustrati, ostili o poco motivati, come quelli che il preside assegna alla classe in questione, considerandola un “vuoto a perdere”.
Nella realtà, sono molti i docenti che si adoperano per stimolare i loro allievi, proprio come fa il nostro professor Andreoli (Andrea Pisani), il quale, ispirato dal Robin Williams di “L’attimo fuggente”, adotta nuovi metodi didattici per arrivare al cuore dei ragazzi. Purtroppo, lui come i suoi colleghi volenterosi, è costretto in un sistema scolastico non al passo con i tempi, e finisce per essere stritolato dalla sfiducia e aggressiva insicurezza degli studenti. Sfiducia e insicurezza che non originano nella scuola, ma che la scuola spesso alimenta, a dispetto delle migliori intenzioni dei suoi artefici. Non è certo colpa degli insegnanti, infatti, se i ragazzi avvertono una diffusa sensazione di solitudine (anche e soprattutto all’interno del nucleo famigliare), che li spinge verso l’uso compulsivo dei social, l’individualismo e l’apatia. Allo stesso modo, non è colpa delle nuove generazioni se, dopo decenni di “idealizzazione della gioventù” post-‘68, oggi domina l’idea che i ragazzi siano in maggioranza privi di valori, “sdraiati”, bamboccioni, ecc. Insomma, palle ai piedi della società e tormento dei genitori.
CLASSE Z non vuole essere un film giovanilista, tanto meno sociologico o moralista. Racconta una storia inventata, ma plausibile, e cerca di farlo “ad altezza ragazzi”, a partire dal linguaggio “contaminato” che utilizza. Pur mettendo alla berlina certi comportamenti (la fashion victim ossessionata dal look, l’internauta erotomane, il pluripetente bulletto, l’aspirante you tuber fancazzista, ecc.), il film vuole superare gli stereotipi sui giovani, puntando prima di tutto alla credibilità dei sentimenti dei personaggi. È questa, secondo noi, la sfida per cercare di farsi ascoltare da ragazzi che vedono con sacrosanta diffidenza un mondo degli adulti che troppo spesso li giudica e categorizza, senza veramente guardarli in faccia.
È lo stesso processo che percorre il professor Andreoli, il quale rinuncia nel corso del film a metodi idealistici o inutili esibizionismi, e impara a guardare negli occhi i suoi studenti, a voler conoscere i loro problemi e pensieri, perché un insegnante dovrebbe necessariamente essere in grado anche di un ascolto efficace, empatico, non solo di trasmettere nozioni o completare programmi. Così facendo, Andreoli riesce a trasformare questo branco di “perdenti” individualisti in un gruppo coeso, in grado di darsi una mano nelle difficoltà e che trasforma lo studio in un percorso di crescita, prima di tutto umana. In altre parole, Andreoli impara a entrare in relazione con queste “persone” chiamate studenti, nella convinzione che la scuola non assolve il suo compito se funziona solo per i “bravi”, e boccia gli altri come scarti. Scarti con cui, prima o poi, la società dovrà fare i conti, spesso dolorosi.
Al pari dei ragazzi, matura anche il professore, perché mettendosi in gioco, “sporcandosi le mani”, donando tempo e passione, acquista ai loro occhi autorevolezza perché abbandona l’ideale per il reale. Ognuno impara e tutti crescono.
Un processo che anche il nostro cinema è chiamato oggi a percorrere (anche facendo ridere, perché no?) se non vuole perdere per strada generazioni di ragazzi che sempre meno lo frequentano.