QUEL CHE RESTA DI UN CERTO CINEMA ITALIANO

Non c’è polemica in quello che sto per dire, tanto meno mi chiamo fuori: io sono parte del problema. E mi rivolgo a tutti, non solo a chi il cinema lo fa, ma anche a attori, organizzatori di festival, critici, operatori culturali, ecc.

Ho raccolto le recensioni dei film italiani presentati a Venezia 2015 e usciti in questi giorni.
Ho visto gli incassi e il numero di biglietti venduti.
Ho letto la lettera sottostante inviata da un gruppo di giovani cineasti alla associazione 100 AUTORI (grazie a Fabio Bonifacci https://www.facebook.com/fabio.bonifacci?fref=nf per la segnalazione).
Il quadro è a dire poco triste, per non dire schizofrenico.

Non c’è nulla di che minimizzare. E’ cieco dire che si tratta di un momento passeggero o che ci sono film di qualità/d'autore/chiamateli-come-volete-voi che incassano: per un Sorrentino o Martone che fanno miracoli, ci sono venti, trenta, cinquanta uscite che confermano la regola. In altre parole: i successi sono un’eccezione. La regola è che i film italiani di qualità/d'autore/chiamateli-come-volete-voi non recuperano quasi mai i loro costi, anche a fine ciclo. E se non li recuperano, dato che senza capitali il cinema non si fa, c’è da chiedersi quanto passerà prima che qualcuno stacchi la spina a quel poco che resta della produzione cinematografica di qualità/d'autore/chiamatela-come-volete-voi del nostro paese.

Non intendo riproporre le solite contrapposizioni tra cinema di qualità vs cinema commerciale. Tanto meno tra cinema televisivo vs cinema-cinema. Neanche le analisi, che non spettano a me, sull’evoluzione del mercato, la mutazione degli spettatori, le ragioni sociopoliticoantropologiche per cui gli italiani non vanno più a vedere i film di casa loro (ma gli preferiscono la storia di un regista iraniano che gira in taxi).

Personalmente non accuso nessuno, tanto meno il pubblico. Però, ancora una volta, mi interrogo sul “che fare” e non vedo in circolazione nessuna ipotesi plausibile. Ci resta solo il tirare a campare? Io ho dato e raccolto quel che ho potuto, ma a chi viene dopo che resta?

LA LETTERA DEI "QUASI AUTORI"

Cari membri del direttivo 100autori,

oltre a fare gli auguri al Presidente, al Coordinatore nazionale e a tutti i membri del direttivo per le loro nomine, approfittiamo di questo rinnovo per parlare di un’emergenza che ormai sta diventando routine, cioè l’ingresso sanguinoso e i primi difficilissimi passi nel mondo dell’audiovisivo che i giovani autori si trovano oggi ad affrontare, da soli.

Ormai è la norma per molti produttori (anche grosse case di produzione, ed è di solito in quel caso che fa più male) sfruttare il lavoro delle nuove leve, facendo pressione sul fatto che “sei giovane e ti devi ritenere fortunato che ti faccio lavorare”. E non parliamo di una semplice – e anche giusta – gavetta che tutti hanno fatto, poiché oggi, dalla fase della gavetta, se sei così bravo e fortunato da entrarci, non ne esci più.

Perché una volta che certe condizioni le accetti, crei un precedente pericoloso per te stesso e per gli altri, tanto che alcuni autori affermati e vincitori di numerosi premi e festival (ma sempre considerati “giovani”, in quanto under 40) vengono poi richiamati a lavorare con la medesima offerta, dai medesimi produttori, forti del medesimo ricatto a cui già una volta si è sottostati.

E pur accettando questo ricatto, pensando alla crisi, alla disoccupazione, al fatto che in fondo questo è il lavoro che amiamo e che vorremmo fare, e che in fondo sì, siamo giovani, dobbiamo essere umili, resistere, che domani andrà meglio, ci troviamo a dover lottare contro condizioni inaccettabili.

Dobbiamo lottare per essere pagati, anche pochissimo, e non lavorare gratis. Perché se è gratis, non è lavoro.

Dobbiamo lottare perché il pagamento, sempre più esiguo (facciamole queste cifre: 1.500/2.500 euro per una sceneggiatura, a volte da dividere con altri autori, o 500 euro per un soggetto, sempre da dividere con altri autori) arrivi almeno prima delle riprese, e non a uno o due anni dalla consegna del copione.

Dobbiamo lottare per non vedere dimezzato il nostro compenso a lavoro consegnato (e contrattualizzato, in alcuni casi) perchè tanto sono sicuri che nessuno gli farà causa per pochi euro.

Dobbiamo lottare con la paura di perdere anche quei pochi lavori che ci siamo guadagnati, se ci ribelliamo alle condizioni imposte.

Dobbiamo lottare per la nostra dignità professionale, perché accettare certe condizioni vuol dire annullarla, questa dignità.

Dobbiamo rischiare di essere eliminati e sostituiti da qualcuno che quelle condizioni, invece, per disperazione, le accetta.

Vi scriviamo a nome della fascia più giovane degli iscritti ai 100autori, a nome di quelli che se ne sono allontananti nel tempo non sentendosi rappresentati e a nome di quelli che non ne fanno parte e non credono che l’associazione si occupi di problemi che li riguardano.

Vorremmo poter lottare insieme all’associazione tutta, contro chi del mestiere di sceneggiatore sta cercando di fare un hobby, e non possiamo essere contemporaneamente i soli e i più deboli a difendere i diritti base della nostra categoria. Vogliamo lottare insieme perché siamo certi che la pressione che colpisce noi in quanto “giovani”, sia solo un aspetto di una pressione più grande, che molti subiscono, in maniera diversa, a prescindere dall’età anagrafica e dall’esperienza.

Non vogliamo che solo una certa classe sociale possa permettersi di lavorare nell’audiovisivo, perché questo rischia di impoverire e appiattire le storie che raccontiamo. Come non vogliamo che gli autori affermati, almeno quelli che fanno parte dell’associazione e del direttivo dei 100autori, accettino di essere pagati quando chi lavora in équipe con loro non lo è, né forse lo sarà mai.

Scriviamo questa lettera convinti che i membri dell’associazione e del direttivo non siano all’oscuro di quello che succede e che siano aperti ad un dialogo e alla messa a punto di un’azione comune per cercare di cambiare le cose. Un’azione che speriamo possa includere anche quei giovani che ai 100autori non sono iscritti o non lo sono più. Un’azione che nella tipologia somigli al Turning point, ma che forse necessita una strategia diversa, più complessa, che non abbiamo ancora individuato, e che speriamo di trovare insieme. Potrebbe venire dalla Comunità Europea questo aiuto, dove le tutele sono maggiori? Non lo sappiamo. Apriamo un tavolo di discussione comune e cerchiamo delle proposte valide.

Vorremmo una reciprocità tra noi e l’associazione, un confronto su questi problemi, perché crediamo di essere una forza essenziale e un’occasione di rinnovo e miglioramento, e siamo certi che un atto concreto in questa direzione possa contribuire ad allargare il numero dei giovani nella base associativa, possa tornare a coinvolgere quelli che dall’associazione si sono allontanati e avvicinare quelli che mai si sono sentiti fino ad ora rappresentati.
Vorremmo essere energia che si immette nel sistema, che lo arricchisce, e vogliamo farlo insieme.

Preghiamo il direttivo di diffondere questa lettera ai soci, per avere anche un riscontro da parte loro.

Grazie dell’attenzione