Ho appreso - con un certo ritardo: 4 anni - che una delle mie band preferite, gli X, si sono riformati. Erano un gruppo punk di Los Angeles, i cui primi dischi vennero prodotti da Ray Manzarek dei Doors. Incisero 6 album tra il 1980 e il 1987, di qualità decrescente, ma con un capitolo finale - SEE HOW WE ARE - di ottima fattura. Non raggiunsero mai il grande pubblico, anzi il loro disco peggiore - AIN'T LOVE GRAND! - fu proprio quello in cui cercarono di puntare al successo commerciale. Senza peraltro riuscirci.Dopo una breve virata verso un country-rock di ottima fattura sotto il nome di Knitters, si sciolsero una prima volta nel 1987.Negli anni successivi hanno tentato più volte di rimettersi insieme, anche perché le rispettive carriere soliste non sono mai decollate. Ma anche le loro reunion degli anni '90 e '00 non hanno sortito migliore effetto.
Adesso scopro che da quattro anni hanno rimesso insieme la formazione originale, inciso un disco e preso di nuovo la strada dei concerti dal vivo con show zeppi di vecchi hit. Ossia canzoni memorabili e dai titoli che dicono tutto come SEX AND DYING, NAUSEA, WE’RE DESPERATE, WORLD'S A MESS, ecc., tutte scritte quando i fondatori, John Doe (classe 1954) e Exene Cervenka (1956), avevano poco più di venti, venticinque anni.
Lasciamo perdere che non sono i primi, né gli ultimi a inseguire la pallida gloria del revival. Lasciamo perdere quello che all'epoca dicevano i punk sul fatto che era meglio morire giovani (e, per fortuna, la maggior parte di loro è vissuta a smentire l’infausto proposito). Lasciamo perdere che certe frasi - per non dire certe movenze - stanno meglio addosso ai vent'anni che ai sessanta. Lasciamo perdere che c'è qualcosa di strano nell’eseguire con convinzione testi e accordi formulati quando si era ancora giovani di belle speranze e non sentire il bisogno di maturarne dei nuovi, frutto dell'esperienza e della naturale evoluzione della vita. Lasciamo perdere che ogni tanto è bello dire basta.
Lasciamo perdere tutto: ma veramente c'era bisogno di rovinare così i miei bei ricordi?
Rispetto alle altre riunioni di band della mia giovinezza che si sono susseguite negli ultimi decenni, quella degli X mi tocca in modo particolare perché conoscevo bene John Doe. Nel 1987, quando abitavo negli Stati Uniti, pensai a lui come protagonista del mio primo lungometraggio, THE HOLE - TOMESHA.
Attraverso amici del mondo musicale, riuscii a contattarlo e lui, che nel frattempo aveva iniziato una breve ma intensa attività di attore, accettò di buon grado la parte. Ci incontrammo più volte a Los Angeles e, nel corso dei quasi due anni precedenti al definitivo accantonamento del film da parte dei produttori, diventammo amici. Al di là dell’ammirazione che nutrivo nei suoi confronti, fui colpito dalla sua personalità che temperava l’acume corrosivo del punk con una schiettezza popolare tipicamente americana. Divorziato da Exene Cervenka, si era da poco sposato con Gigi Blair, da cui ebbe poi tre figlie. Apprendo dalle cronache che tuttora vive con la moglie nei sobborghi di Los Angeles.
Quando il progetto di TOMESHA fallì, rimanemmo per un po’ in contatto, ma la distanza e l’amarezza per quell’avventura mai decollata, inevitabilmente ci separò. Negli anni, ho seguito con una certa apprensione la sua carriera solista: speravo sempre che, prima o poi, sarebbe riuscito “a farcela”. Non per forza ad avere successo, ma a realizzare un grande disco, un disco che sarebbe restato, al di là delle mode e dei sussulti giovanili. Un disco maturo e per questo senza tempo. Non c’è mai riuscito, penso perché troppo esposto alle influenze dei produttori e delle case discografiche, al mutare dei gusti del pubblico e, temo, all’ansia di prestazione. Non gli è mai mancato il talento (la discografia degli X sta lì a dimostrarlo), ma forse la fiducia nei propri mezzi. E per questo gli ho sempre voluto bene.
Per queste e altre ragioni, la notizia della riunione degli X mi ha lasciato perplesso e mi ha costretto a interrogarmi: perché hanno deciso di rimettersi a suonare quelle canzoni che erano il frutto di ben altre energie e necessità? Possibile che non si siano sentiti inadeguati a calcare quei palcoscenici che li avevano visti saltellare giovani e furiosi? Possibile che abbiano così bisogno dell’attenzione e dell’affetto dei loro vecchi fans da non avvertire la pateticità in cui rischiano d’incorrere? Possibile che nella loro vita adulta non abbiano trovato qualcosa che gli abbia permesso di mettersi alle spalle il passato, non per rinnegarlo o biasimarlo, ma semplicemente per andare oltre? Non li giudico, sia chiaro, ma mi interrogo.
Poi penso che anche loro hanno figli, forse nipoti, mutui e fidi da pagare. Allora smetto di interrogarmi su di loro e penso a come riuscirò a far quadrare i conti dei prossimi trimestri. Però, mi dico anche che invecchiare bene è un talento e un dono, e che certe ferite (il bisogno d’attenzione, il timore di essere dimenticato, la paura di cambiare, la mancanza di affetto, ecc.), se non sono sanate in tempo, prima o poi ti chiedono il conto.
“Amici magazzini dolore
attaccano i propri simili
un migliaio di ragazzini
seppelliscono i loro genitori
ridono di fuori
noi non abbiamo accesso agli occhi del pubblico”
(X, Unheard Music, dall’album LOS ANGELES, 1980)