IL FASCINO DISCRETO DELLA CATASTROFE

Il Ministro Bray, come è legittimo nella sua funzione di responsabile del dicastero, stila un puntiglioso elenco della disastrosa situazione, finanziaria e non, dei Beni Culturali in Italia.
Possiamo dirlo senza timore di essere tacciati di qualunquismo? Non c'era bisogno che ce lo dicesse un Ministro, lo sapevamo bene, da anni. Era di fronte agli occhi di tutti.
Altrettanto, senza timore di essere tacciati di qualunquismo, posso affermare in piena coscienza che i soldi che in precedenza erano destinati al bilancio del Ministero - e che negli ultimi anni sono venuti meno - non erano affatto TUTTI spesi nella gestione e produzione di beni culturali, ma anche nel mantenimento di un complesso sistema clientelare, di posizioni di privilegio legate ai vari schieramenti politici (in particolare a sinistra, che a torto o ragione si ritiene depositaria e paladina unica della vera cultura in questo paese) nonchè di un diffuso assistenzialismo parassitario. Un sistema, e lo dico anche qui senza ipocrisie, di cui anch'io ho beneficiato, accettando per quieto vivere le sue evidenti storture.
Sia chiaro; penso che nei paesi occidentali - con un patrimonio artistico importante e con una storia culturale, che piaccia o meno, che coincide tout court con quella mondiale - il finanziamento della cultura sia una faccenda che riguarda lo Stato e che esso debba essere, almeno in parte, pubblico.
Detto questo, caro Ministro, che ci propone? Intende recuperare risorse: e da dove? Ne ha parlato con il Governo di cui fa parte? E se riesce a recuperarne almento una parte, come intende usarle? Per farne che?
Spero che anche lei non si limiti al coro rancoroso del catastrofismo depressivo tanto di moda. Paga in termini di gradimento dire che va tutto male, ma non produce nulla, tanto meno cultura (anche se la "cultura" occidentale oggi è dominata proprio da questo avvilimento nichilista che scambia la propria individuale depessione in una sentenza universale). Oggi, Papa Francesco ha detto ai giovani: «non imparate da noi lo sport del lamento». Quel noi, caro Ministro, ci riguarda tutti.