HOULLEBECQ, IL NOSTRO CANE e UNA VITA SENZA FIGLI

Non sono un cultore di Michel Houllebecq. Nondimeno, oltre a un notevole talento, gli riconosco il merito di saper cogliere e rappresentare come pochi altri lo spirito dell’epoca in cui viviamo, nel bene e nel male la crisi dell’Europa che stiamo attraversando.
Ad esempio, nel romanzo “La carta e il territorio” (Bompiani, 2010, a pag. 248), narrando della relazione tra il commissario Jasselin - incaricato di indagare sull’omicidio dello scrittore Houllebecq (che sublime egocentrismo!) - e sua moglie Helene, racconta che dopo innumerevoli analisi seguite a una diagnosi di infertilità, la coppia, posta al bivio tra fecondazione assistita e adozione, aveva deciso di rinunciare tout court alla possibilità di avere figli:

“Helene, a dire il vero, non ci teneva poi tanto ad avere un figlio, e poco dopo fu lei, a proporgli di acquistare un cane. In un passo in cui si lamenta della decadenza e della denatalità dei francesi (già di attualità negli anni trenta), l’autore fascista Drieu La Rochelle imita per fustigarlo il discorso di una coppia francese decadente della sua epoca, che suona pressappoco: “E poi Kiki, il cane è più che sufficiente per divertirci…”. In fondo Helene era completamente di questo parere, finì col confessargli: un cane era divertente, e se per un attimo aveva pensato di mettere al mondo un figlio era stato soprattutto per conformismo e un po’ per fare piacere a sua madre, ma in realtà i bambini non le piacevano veramente, non le erano mai piaciuti veramente, e neppure a lui se ci riflettevano bene; non gli piacevano il loro egoismo naturale e sistematico, il loro disconoscimento innato della legge, la loro intrinseca immoralità che obbligava a un’educazione spossante e quasi sempre infruttuosa. No, i figli, in ogni caso quelli degli uomini, proprio non gli piacevano”.

Ammettiamolo: qui Houllebecq brilla. Per lucidità, sintesi, precisione.
Niente infingimenti, ipocrisie, falsi moralismi. L’origine della denatalità non è di ordine economico, né è legata a questioni di politica sociale, ma affonda le radici nel crescente - e in fin dei conti parzialmente comprensibile - disprezzo verso l’essere umano che contraddistingue l’Europa moderna - e fra un po’, temo, il mondo intero.
Un disprezzo che conduce gradualmente alla “scomparsa” del futuro dal nostro orizzonte, e quindi alla perdita di senso dell’esistenza.

Lasciamo perdere le ragioni profonde e inconfessabili di questo spregio verso gli umani.
Lasciamo perdere i traumi infantili che ne sono alla radice e che altri ben più qualificati del sottoscritto hanno avuto il merito e il coraggio di indagare.
Lasciamo perdere come dietro le categorie “infanzia-bambini-figli” si nasconda in realtà la condizione umana per eccellenza, quella attraverso cui tutti dobbiamo passare, dato che tutti siano nati piccoli (e non è detto che diventiamo vecchi…) e che se i nostri genitori avessero ragionato così, noi non saremmo qui a scrivere e leggere (ci può stare che qualcuno dica: magari…).
Lasciamo perdere che conosco tanti senza prole che sottoscrivono apertamente queste parole.
Lasciamo perdere che conosco molte coppie con figli che sostengono più o meno i medesimi concetti, frenati solo dal timore di apparire “sbagliati”, o forse semplicemente scossi da un rigurgito di istinto di sopravvivenza (della specie).
Lasciamo perdere che ormai è stata sdoganata la correttezza politica del rifiuto di procreare (pensiamo al cosiddetto fenomeno dei gruppi/siti/locali childfree o no kids celebrati dalla copertina di TIME) con tanto di implicito disprezzo per chi i figli li fa.
Lasciamo perdere tutto, nel senso che comprendo tutto. Non lo giustifico, ma ne capisco le cause e le ragioni.
Mi chiedo solo: perché io stesso, che ho tre figli - e se non avessi cominciato tardi avrei proposto a Nicoletta di farne almeno un altro - pur rifuggendo il disprezzo di cui parla lo scrittore francese, mi ritrovo a pensare di tanto in tanto le stesse cose? Ossia che i miei figli - tutti i figli - sono egoisti e se non li disciplino, non fanno che combinare danni, perché sono innatamente “malfatti”?
Dura poco, ma è un sentimento che riconosco, mi appartiene, per quanto mi turbi.

Chi disprezza i bambini, disprezza la vita e questa deriva non ha che un nome: nichilismo. Che non è una categoria filosofica o giornalistica, ma una precisa e concreta serie di atti che vogliono gettare discredito sull’essere umano, le leggi che lo governano, frutto di una evoluzione durata decine di migliaia di anni, e che oggi, in nome di una presunta libertà di scelta (come se già il semplice fatto di essere venuti al mondo dipendesse da noi!), della cultura e della tecnica, ci illudiamo di poter modificare a nostro piacimento, anche a costo di forzarle e stravolgerle.
Di quest’epoca, Houllebecq è uno dei poeti più interessanti, per quanto sia incapace di trascenderla, come solo i grandi artisti sanno fare, e lui non è. Lo ringrazio comunque per avermi dato di che riflettere su quanto il nichilismo mi incrosti, a dispetto delle intenzioni e della presunzione.

Ovviamente, nulla di personale verso chi non fa figli - che non giudico, né biasimo, anzi comprendo e verso cui empatizzo - o è affezionato ai cani: da poco ne abbiamo uno anche noi, Polly, molto simpatica e buffa, che mi aiuterà sicuramente ad amare di più gli animali, verso cui ho sempre nutrito sentimenti ambivalenti.
Però, scusatemi, continuo a trovare i bambini, miei ma non solo, più “divertenti” di un cane. Per non parlare della tristezza e noia di un mondo con soli adulti…