Io e Cesare Battisti

Ho sempre ritenuto l’esperienza del terrorismo la tragedia per eccellenza della storia della sinistra, italiana e non. Anzi, se una volta pensavo che il terrorismo fosse una sorta di metastasi del marxismo-leninismo, ora sono convinto che esso è uno degli inevitabili sbocchi di quella straordinaria ideologia che ha fatto della dialettica il proprio cardine . Dialettica che implica contrasto, contrasto che, per essere superato in vista di un determinato fine, richiede un conflitto. Conflitto che genera violenza. Violenza che genera vittime. Vittime che chiedono vendetta. Vendetta che genera nuove vittime. In un circolo infinito. A un certo punto della mia vita ho capito che, per spezzarlo, non potevo più sostenere alcuna ideologia che protraesse quell’eterno ritorno.

Non conosco Cesare Battisti, non ho mai letto i suoi libri, non ho intenzione di leggerli. Nel 2004, durante il montaggio di Lavorare con lentezza, i miei amici del collettivo  Wu Ming – co-sceneggiatori di quel film - mi chiesero di firmare un appello della rivista online Carmilla per impedire la sua estradizione dalla Francia, dove Battisti era stato appena arrestato dopo anni di sostanziale vita normale.

Firmai, senza aver letto l’appello, per ragioni di amicizia, ma anche perché, allora come oggi, ritenevo assurdo che la stagione del terrorismo e della violenza politica di quegli anni – incluso il terrorismo e la violenza di destra, sia chiaro – dovesse essere risolta per via giudiziaria. Ritenevo invece necessaria una soluzione politica, che facesse una volta per tutti i conti con quella tragedia; che sottraesse alla mera matematica degli anni di carcere il problema storico di decine migliaia di giovani che avevano abbracciato la lotta armata; che interrompesse l’assurdo circolo delle accuse reciproche su chi aveva per primo iniziato, fossero essi compagni, camerati, poliziotti o servizi deviati, CIA o KGB. Per quanto mi riguarda, non mi spingevo a sostenere l’amnistia generalizzata (come domandava invece quel noto estremista del presidente emerito Francesco Cossiga: “L'amnistia non è il perdono. E' uno strumento politico: vuol dire chiudere politicamente un periodo storico”), ma certo ritenevo logica lla riapertura di processi che erano stati basati su leggi speciali, emergenziali, spesso contrarie ai trattati internazionali che il nostro Paese sottoscrive. Processi di tipo indiziario, basati su delazioni, per nulla garantisti.

Firmai.

Quando Roberto Saviano annunciò di voler ritirare la sua firma (nel 2009), lessi l’appello. Vi trovai frasi e espressioni assai discutibili, che descrivevano Battisti con toni retorici e ampollosi (“La vita di Cesare Battisti in Francia è stata modesta, piena di difficoltà e di sacrifici, retta da una eccezionale forza intellettuale”). Soprattutto, non lessi una sola riga di cordoglio per le vittime, dirette e indirette (mogli, figli, ecc.) degli omicidi, a torto o ragione imputati ai PAC e Battisti. Che li avesse commessi, ordinati o anche solo immaginati Battisti o il Mr. X dell’Ipercomunismo Galattico poco mi importava: delle persone in carne ed ossa avevano smesso di respirare, di stare con i loro cari, di vivere la loro più o meno felice esistenza. Non mi importava nemmeno sapere chi fossero quelle vittime, se avessero a loro volta commesso delle nefandezze o fossero dei poveri cristi senza colpa. Una sola parola di pietà, di compassione, mi sarebbe bastato questo. Non la trovai.

Pensai di ritirare la firma. Non lo feci, troppo comodo: avevo commesso un errore in buona fede (non aver letto) per difendere un principio liberale in cui credevo (e credo). Non mi restava che aspettare il momento in cui qualcuno mi chiedesse ragione di quella decisione. Quel momento è arrivato.

Come tutti sanno, il governo sudamericano ha deciso di non estradare Battisti: avrà le sue ragioni, a testimonianza di un caso che presenta molti lati oscuri. Caso che, ad ogni passo, suscita sui mass media un coro giustizialista, dopo che per anni la vicenda del malavitoso-terrorista-scrittore si era svolta nel più completo disinteresse dell’opinione pubblica.

Ancora una volta, i parenti delle vittime, gli unici che non hanno mai smesso di occuparsi della vicenda, hanno chiesto che sia estradato e messo in carcere a scontare la pena prevista. Chiedono giustizia, vieppiù imbestialiti dal fatto che Battisti rivendica la propria innocenza. Posso capirli e non li giudico.  Così come non giudico la fuga di Battisti, il suo desiderio umanissimo di sfuggire il carcere, la richiesta di un riesame della sua posizione. Anch’io considero sacrosanta la giustizia. Giustizia nel senso più completo del termine, come antidoto al propagarsi della violenza. Altrettanto, per spezzare quel circolo infinito di cui sopra, considero necessario il perdono.

Nel bailamme politico e emotivo che la vicenda ha scatenato, qualcuno ha pensato di tirare fuori dal cassetto l’appello del 2004 (in cui, oltre a quella mia, ci sono le firme del giornalista Mediaset Sandro Provvisionato e del gruppo di preghiera-latina "DIO E' AMORE"), stilando e diffondendo liste di proscrizione e inviti al boicottaggio dei firmatari (si veda ad esempio qui). Ne prendo atto , ma non ritiro la mia firma, perché, pur nell'impaccio che mi crea l'aver aderito a quell'appello, rimango convinto che Cossiga non avesse tutti i torti.  Ma se Cossiga ragionava da uomo politico, legislatore e amministratore della cosa pubblica, io ragiono semplicemente da essere umano: cerco di spiegare pacatamente le ragioni di quella firma e dico che ieri, ora e domani starò dalla parte delle vittime. E qui, di vittime, ce ne sono molte e non tutte forse ben focalizzate.

A coloro che sono interessati a stilare liste di proscrizione, da qualunque parte provengano, vorrei però facilitare il compito, segnalando i pochi appelli che, in questi anni, ho firmato: per la liberazione dell’iraniana Sakineh Mohammadi Ashtiani accusata di omicidio e adulterio secondo la Sharia; per la liberazione della cristiana pakistana Asia Bibi accusata di aver vilipeso il profeta Maometto, crimine punibile con la morte secondo la Sharia; per la moratoria sull’aborto e la legge 194; per la liberazione del regista iraniano Panahi accusato di partecipazione a gruppi terroristi e propaganda anti-governativa. Considero queste cause più meritevoli d'attenzione di quella di Battisti, vuoi per i rischi che corrono gli interessati, vuoi per la indubbia innocenza di persone come Asia Bibi. Qualcuno potrà dire che ho meglio scelto gli appelli da firmare. Altri non saranno d'accordo. Non lo so, non sta a me giudicare, ho solo seguito la mia coscienza.

Se qualcuno vuole, mi boicotti pure ANCHE per queste firme.