TI RICORDERAI DI ME? ONCE I WAS. OLTRE LA VITA DI TIM E JEFF BUCKLEY

Ieri sera ho visto uno spettacolo che, sulla carta, mi appariva rischiosissimo, e non solo perché non sono un grande appassionato di teatro (non me abbiano amici attori e registi teatrali: è sicuramente un mio limite).

Si tratta di ONCE I WAS, messa in scena scritta e interpretata da Francesco Meoni, e programmaticamente sottotitolata: OLTRE LA STORIA DI TIM E JEFF BUCKLEY.
Ora non solo l'autore sceglie di cimentarsi con la vita di due icone della cultura musicale degli ultimi 50 anni, ma lo fa osando anche un doppio salto mortale, ossia cantando dal vivo le loro canzoni, accompagnato da tanto di quintetto.

La notizia è che la scommessa è vinta, per almeno tre ragioni.

La prima è squisitamente musicale. Al netto della irragiungibile voce di Tim, Meoni riesce a rendere credibile la sua rappresentazione, sia perchè ricuce il filo perduto tra biografia (vita) e musica (testi), sia soprattutto perché sceglie di non rifare il verso a papà Buckley, ma trasforma le sue canzoni in qualcosa di diverso e personale (su tutte PLEASANT STREET che diventa quasi un brano di rock duro). Dal canto suo, Vincenzo Marti che interpreta Jeff è impressionante, vuoi per la capacità di replicare certe sfumature della voce di Buckley figlio, vuoi per la padronanza chitarristica, ben coadiuvata dal gruppo.

La seconda è sostanziale: raccontando la tormentata vita di Tim (figlio di un padre violento e ostile) e Jeff (abbandonato da Tim ancor prima di essere nato, ignorato in infanzia, orfano di padre a 8 anni, una vita passata a confrontarsi con l'assenza del genitore e la sua ingombrante eredità) Meoni obbliga gli spettatori a confrontarsi con il proprio esseri figli e ,per chi lo è, padri (più o meno mancati). Anche qui il cortocircuito tra i testi e la vita reale è sorprendente, con l'aggiunta di brani (in parte "romanzati") dal diario di Jeff che trafiggono per sincerità e lucidità.

La terza è del tutto personale: ONCE I WAS mi ha fatto capire una volta per tutte perchè Tim Buckley mi ha sempre parlato al cuore. Un ricordo su tutti: a 17 anni, i giorni antecedenti la morte del mio amato nonno paterno. Per non sentirlo rantolare mettevo a tutto volume BLUE AFTERNOON, il disco più malinconico eppure catartico che abbia mai sentito. Grazie a questo spettacolo ho capito che Tim Buckley non ha fatto che cantare sempre questo: il lutto del figlio che non riesce a svincolarsi dal padre e soffoca nella inefficace ribellione (droga, politica, sesso, ecc.) la mancata libertà. Ma dato che siamo tutti vittime di vittime, anche Jeff ha dovuto pagare il conto, perché non è riuscito a spezzarlo, nell'unico modo che conta: amando un figlio come non siamo stati amati noi.

Lo spettacolo è in scena al teatro Spazio Uno di Roma fino al 1 marzo, speriamo presto altrove.