MANUALE DI REGIA CINEMATOGRAFICA di Guido Chiesa

E' uscito per la UTET Università il libro "Manuale di regia cinematografica". Qui di seguito il capitolo introduttivo del libro.

Nell’ottica di fornire un’introduzione alla professione della regia cinematografica per studenti e appassionati, “Manuale di regia cinematografica” si propone come testo pratico, ma non come manuale in senso stretto, del tipo «Diventa regista in tre settimane» o «Tutti i segreti della regia». Obiettivo dell’autore è, infatti, quello di offrire degli stimoli, dei possibili percorsi, lasciando poi a ciascuno il compito di trovare le soluzioni secondo la propria storia e le proprie necessità. Non è un testo normativo, dunque, ma una sorta di laboratorio che, lungi dal voler affrontare tutti i problemi del fare-cinema, cerca di proporre un metodo di riflessione prima ancora che un metodo di regia, senza mai dimenticare che quello del cinema è prima di tutto un lavoro, sia nel senso di mestiere, professione, ma anche di “fatica”, che l’etimologia antica intendeva come “volgere il desiderio verso qualcuno”, dove la vocazione comunicativa, relazionale, significante del lavoro umano era espressa in termini inequivocabili.

Utilizzando le testimonianze e le esperienze di quei registi che nel corso della storia del cinema hanno meglio saputo interrogarsi sulla loro professione e sul senso del fare-cinema, il volume intende riflettere anche su come, in questi questi cent’anni e più, i problemi (e i propositi) affrontati dai cineasti sono rimasti più o meno gli stessi: il ruolo del denaro e della parcellizzazione del lavoro; il realismo e l’immaginazione; la pianificazione e l’improvvisazione; lo stile e i contenuti; il lavoro con l’attore tra manipolazione e dialogo. Quelli che sono cambiati sono i supporti tecnici, gli strumenti dell’interpretazione e, soprattutto, le modalità di interazione con la realtà. In questa prospettiva, la storia del cinema può essere dunque vista non come una successione di film o poetiche, ma l’infinita mutazione e messa in discussione di un medesimo processo di rappresentazione. Non c’è progresso in senso determinista, ma solo una costante metamorfosi, dove non è detto che gli ultimi arrivati siano più avanti di chi li aveva preceduti.

L’idea di realizzare il volume ha rappresentato per Guido Chiesa l’occasione per riannodare i fili di una riflessione attorno al fare-cinema - alla sua natura, al suo linguaggio - di cui da tempo in Italia si è persa traccia. Fino agli anni ’70, il dialogo tra teoria e prassi è stato uno dei tratti più significativi di quella ricca stagione iniziata con il Neorealismo. Un dialogo aperto a cineasti e studiosi, senza pregiudizi, barriere o rivendicazioni territoriali.

Negli anni successivi, questo dibattito si è inaridito, sprofondato in un’elucubrazione esoterica, figlia di ideologismi e settarismi che hanno allontanato prima il pubblico e poi, man mano, i protagonisti stessi. I quali hanno finito per smettere di cercarsi, impoverendo le rispettive sfere di azione: i cineasti cessando man mano di riflettere sull’oggetto della loro prassi, convinti di non avere più nulla su cui ragionare; mentre agli studiosi non è più parso utile confrontarsi con chi il cinema lo realizza, preferendo circoscrivere il proprio contributo alla pura visione critica, isolandola dalla fornace da cui tutto origina, senza di cui ogni discorso è lettera morta. Oggi come oggi, tra critici/teorici e registi il dialogo è pressoché spento, ridotto ad aneddotica o, al massimo, a discussione sulle poetiche. Un processo che ha finito, oltretutto, per contribuire alla perdita di visibilità sociale del cinema, sempre più ridotto a mera occasione d’intrattenimento e consumo superficiale.

Presentare questo volume nel cuore della manifestazione che vede protagonisti da un lato i professionisti e dall’altro gli studiosi e appassionati di cinema non è, quindi, stato deciso a caso: significa gettare un sasso nello stagno dei rapporti tra chi il cinema lo fa e chi lo analizza e lo studia. Non perché una delle due parti si senta in dovere di «dettare la linea», ma nella speranza di promuovere un dialogo utile alla costruzione del cinema e degli spettatori di domani.